La scultura nella foto è la scultura in pietra utilizzata dall'artista Angelo Froglia nell'operazione mediatica " Modigliani" .
Dice il fratello di Angelo Froglia in una intervista in merito a quest'opera ed alla sua autenticità:
"E' quella che Froglia scolpì per inserirla come protagonista nel videotape "Peitho e Apate...della persuasione e dell'inganno", realizzato appunto come supporto audiovisivo alla sua performance, che aveva l'obiettivo di mettere in luce lo strapotere dei media nella capacità di creare miti attraverso un processo di persuasione. fratello di Angelo, che partecipò attivamente al video tape, aiutando l'artista nelle riprese subacquee.
"Ho visto la foto .....- ci spiega Massimo Froglia - e sono praticamente sicuro: quella testa è quella realizzata per il video-tape. Certo, andrebbe vista dal vero ma confrontando anche dei piccoli particolari dalle foto che ho in casa, non ci sono dubbi. Pensare che io l'ho usata per diversi anni come fermaporta. Poi Angelo me la chiese per una mostra e, conoscendo mio fratello, sapevo già che non l'avrei più rivista: sicuramente l'ha venduta per racimolare qualche soldo".
" LA SCULTURA SOTTOSTANTE E' OPERA A NOSTRA DISPOSIZIONE PER TRATTARNE LA VENDITA SOLO PREVIA COMUNICAZIONE DI INTENTO CON TUTTI I DATI DI RITO E OFFERTA DI PREZZO, PRESENTATA MEDIANTE UTILIZZO DEL LINK, DALLA GALLERIA, DAL MUSEO O DAL COLLEZIONISTA EVENTUALMENTE INTERESSATO.
L' OPERA E' PROVVISTA DEL CORREDO DOCUMENTALE COMPROVANTE LA LEGITTIMA PROVENIENZA E PROPRIETA' , COMPRESO L'ORIGINALE DELLA FOTO DI CUI SOPRA"
Dice il fratello di Angelo Froglia in una intervista in merito a quest'opera ed alla sua autenticità:
"E' quella che Froglia scolpì per inserirla come protagonista nel videotape "Peitho e Apate...della persuasione e dell'inganno", realizzato appunto come supporto audiovisivo alla sua performance, che aveva l'obiettivo di mettere in luce lo strapotere dei media nella capacità di creare miti attraverso un processo di persuasione. fratello di Angelo, che partecipò attivamente al video tape, aiutando l'artista nelle riprese subacquee.
"Ho visto la foto .....- ci spiega Massimo Froglia - e sono praticamente sicuro: quella testa è quella realizzata per il video-tape. Certo, andrebbe vista dal vero ma confrontando anche dei piccoli particolari dalle foto che ho in casa, non ci sono dubbi. Pensare che io l'ho usata per diversi anni come fermaporta. Poi Angelo me la chiese per una mostra e, conoscendo mio fratello, sapevo già che non l'avrei più rivista: sicuramente l'ha venduta per racimolare qualche soldo".
" LA SCULTURA SOTTOSTANTE E' OPERA A NOSTRA DISPOSIZIONE PER TRATTARNE LA VENDITA SOLO PREVIA COMUNICAZIONE DI INTENTO CON TUTTI I DATI DI RITO E OFFERTA DI PREZZO, PRESENTATA MEDIANTE UTILIZZO DEL LINK, DALLA GALLERIA, DAL MUSEO O DAL COLLEZIONISTA EVENTUALMENTE INTERESSATO.
L' OPERA E' PROVVISTA DEL CORREDO DOCUMENTALE COMPROVANTE LA LEGITTIMA PROVENIENZA E PROPRIETA' , COMPRESO L'ORIGINALE DELLA FOTO DI CUI SOPRA"
ANGELO FROGLIA : "L'OMBRA DI MODI'
" la beffa che fece tremare il mondo dell'arte
....la burla delle sculture nei Fossi che 25 anni fa fece il giro del mondo. La legenda delle statue gettate via nel fosso di Livorno.
Il tutto ebbe inizio l'estate del 1909. Mentre il Manifesto Futurista parte dall'Italia alla volta di Parigi, qualcun altro lascia la Ville Lumière per tornare verso sud e il sole del Tirreno.
Ha venticinque anni, si chiama Amedeo Modigliani , un uomo che ha "tutte le carte in regola per essere un artista", dato che, oltre al talento, ha anche "un carattere malinconico" .
Modigliani in tale periodo è suggestionato dall'arte primitiva africana, così torna a Livorno per scalpellare la pietra e per rimettersi. Perché Parigi è dura e fredda, gli atelier dei giovani artisti spesso sono stamberghe orride e sporche.
Quell'estate a Livorno, Modigliani scolpisce alcune teste in pietra e fin qui i fatti sono certi.
Secondo poi testimonianze contraddittorie, alcuni suoi amici gli consigliano però di buttarle nel fosso, tanto sono brutte. Secondo una delle leggende più nere dell'arte novecentesca, Modigliani le carica nottetempo su un carretto e le scaglia nel Fosso Reale, vicino al Mercato delle Vettovaglie.
È lì che nell'estate del 1984 si immergerà a cercarle una benna, in coincidenza con una mostra che celebra il centenario della nascita di Modì e la sua attività di scultore. Una coincidenza che si rivelerà a dir poco sciagurata. In molti, anzi troppi, in quell'estate si mettono a giocare con il fuoco. Quel fuoco si chiama Modì. Che non è solo l'abbreviazione di Modigliani. È anche la pronuncia di maudit. Maledetto. "Autenticare un Modigliani è come puntare a Las Vegas". A dirlo è un anonimo mercante d'arte italiano intervistato sul sito Forbes.com. Voci sostengono che almeno tre opere su quattro attribuite a Amedeo Modigliani siano in realtà dei falsi.
Sempre si legge: Il primo a fare i soldi con il successo postumo di Modigliani si chiama Leopold Zborowski, amico, mecenate e mercante d'arte del pittore. Secondo qualcuno, fa anche terminare ad altri pittori abbozzi e schizzi di Modigliani. Comunque sia, è una fortuna che dura poco: Zborowski perde tutto nella Grande Depressione e muore in miseria nel 1932. Per campare, la sua vedova non trova allora di meglio che attestare l'autenticità di molti disegni senza grandi scrupoli. Un'altra amica e modella di Modigliani, Lunia Czechowska, fa lo stesso. Nel dopoguerra ci si mette anche un certo Elmyr De Hory. Il nome non vi dirà niente ma, quando si ammazza imbottendosi di sonniferi a Ibiza, nel 1976, questo signore è una celebrità. Elmyr De Hory è uno dei più grandi falsari del Novecento, tanto che alla sua biografia Orson Welles ha dedicato F for Fake (F come falso). Per vent'anni, De Hory ha praticamente impestato il mercato.
Il corpus delle sue opere è numericamente ristretto. Picasso ha lasciato circa cinquantamila disegni, Modigliani poco più di novecento, che oggi possono valere dai cinquantamila ai centomila euro. Modigliani disegnava all’impronta, al bistrot per pagarsi da bere.
La beffa delle false teste del 1984 si inserisce quindi in un labirinto internazionale di sospetti, segreti, interessi e rivalità. Lo ha capito bene già nel 1976 un certo Zachary Stone che a Londra pubblica un thriller intitolato “The Modigliani Scandal”. Al centro c’è un’opera sconosciuta del pittore livornese, che scatena una lotta senza esclusione di colpi fra un giovane studioso, un collezionista e un gallerista. A parte la curiosa coincidenza del cognome (Stone significa pietra), anche quella firma è a suo modo un falso. Zachary Stone infatti non esiste, è lo pseudonimo di un giovane scrittore alle prime armi di nome Ken Follett
La mostra su Modigliani scultore, la prima che Livorno dedica al “suo” grande artista, apre nel centesimo compleanno dell’artista. A curarla ci sono i fratelli Durbé. Vera è direttrice del Museo Progressivo d’Arte Contemporanea di Villa Maria, con il fratello Dario, direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
LA PRIMA GRANA
La prima grana scoppia subito: Vera Durbé e la figlia di Modigliani sono protagoniste di una querelle su un “Ritratto di Picasso” esposto a Livorno che, scrive Jeanne Modigliani da Parigi, non appare “in nessuna edizione attendibile”. E in più lamenta di essere stata esclusa dal Comitato Scientifico della mostra, pur avendo dato la sua collaborazione ai curatori.
Poche le sculture, pochi i quadri e disegni, pochi i visitatori: la grande occasione di Livorno langue, la calda estate spinge le folle verso scogli, spiagge e bagni. Forse anche per questo Vera Durbé torna alla carica con la leggenda del 1909. È, a dire il vero, il suo pallino da qualche anno, ma intuisce che ora, o mai più, ci sono le condizioni per cercare le famose teste buttate da Modì. In tempi relativamente brevi si trovano quaranta milioni di lire, si appronta una benna speciale, si ottengono i permessi, si superano le perplessità dei vari “enti preposti” che devono dire la loro o apporre un timbro su un’operazione del genere.
L’ESCAVATRICE
Il 16 luglio l’escavatrice caricata su una grossa chiatta inizia a rimestare il fondo del Fosso Reale: e quello ancora più torbido della leggenda. Si ridesta immediatamente l’interesse dei media.
Ci sono più curiosi sulle spallette davanti al Mercato che visitatori alla mostra di Villa Maria. Passa una settimana di lavoro estenuante in cui viene su di tutto, dalle biciclette alle pistole, ma non le famose sculture. Il 24 luglio potrebbe essere uno degli ultimi giorni di lavoro, se la melma del Fosso Reale non restituisse, alle 9 di mattina, una pietra che reca segni di lavorazione. Una volta lavata e ripulita, ne emerge il profilo rudimentale di un volto che richiama una maschera primitiva. Anche senza internet e senza cellulari, la notizia dilaga per tutta la città in pochi minuti. I giornalisti, che ovviamente avevano un po’ mollato, tornano di corsa sul posto. Lo scetticismo viene subito messo sotto pressione. C’è chi vive il momento come una promozione collettiva dall’anonimato della provincia, c’è chi tira un sospiro di sollievo.
TRE AMICI
Piefrancesco Ferrucci, Pietro Luridiana e Michele Ghelarducci non partecipano a niente di tutto questo. Sono tre amici, studenti universitari figli della Livorno bene, che in un paio di serate si sono divertiti con un Black & Decker e un piccolo blocco di arenaria a preparare una di quelle teste che tutti cercano. L’hanno buttata di notte davanti alla benna e la mattina del 24 luglio pensano solo di “guardare di nascosto l’effetto che fa” prima che tutti si accorgano della bufala. Peccato la pietra scolpita ripescata non sia la loro. La burla si complica. Alle quattro del pomeriggio la benna recupera comunque anche la loro opera. Entrambe vengono magnificate da Vera Durbé: “La prima è più bella, nobilissimo il naso, la seconda sembra un dipinto...“
I media di tutta Italia si gettano sulla notizia. Per trovare un po’ di scetticismo bisogna allontanarsi da Livorno e dall’Italia. A Parigi, Jeanne Modigliani è infatti stata avvertita da lettere anonime che a Livorno stanno per essere ritrovate due false teste. Di chi, non si è mai appurato. Jeanne Modigliani tace su quelle lettere e rilascia dichiarazioni molto caute. Alla fine decide di partire per Livorno per capire meglio cosa sta succedendo. Il 27 viene trovata priva di sensi ai piedi delle scale del suo appartamento. Morirà dopo alcune ore in ospedale. Una caduta accidentale e un trauma cranico letale, concludono le autorità francesi.
Dalle cronache :
per dare un’idea del clima del momento, quel giorno stesso a Livorno il sindaco emette un’ordinanza apposita per evitare che le teste siano trasferite nella rivale Pisa. Che siano gli esperti della Soprintendenza, a muoversi, per analizzarle.
Si finanzia inoltre il proseguimento delle ricerche, che il 9 agosto pesca dal Fosso Reale una terza scultura. Intanto arriva il momento anche dei superlaureati. Per quanto riguarda lo stato delle due pietre, docenti universitari , interpretano analisi e dati con un tortuoso “nulla emerge che sia contrario all’ipotesi che giacciano sul fondo dal 1909”.
Altri, pur parlando di “tracce di scalpelli inusualmente larghi” e osservazioni varie, concludono che “il processo esecutivo appare quello tipico di Modì”.
E così altri scultori famosi dell'epoca , messi di fronte alle teste, riconoscono “in esse la mano di un artista che non padroneggia ancora l’appropriato uso degli strumenti”.
Hanno ragione da vendere, eppure non dubitano che la mano inesperta possa anche non essere quella di Modigliani.
Per Dario Durbé, anzi, è la mano di Modì a rivelare “una commovente e indagante incertezza” . Sta in queste parole la beffa più autentica, l’inganno più crudele, perché è l’inganno di chi, pur essendo capace di ricavare dati corretti, li stravolge e vi vede ciò che desidera vedere, che tutti desiderano vedere. Innescando così le estasi intellettuali di critici come Argan e altri. Le tre teste ritrovate vengono così esposte alla mostra di Villa Maria, che finalmente vede arrivare visitatori a frotte, da tutta Italia. Si appronta un catalogo apposito, che viene presentato domenica 2 settembre.
SCOOP
“Panorama”, in edicola il lunedì, anticipa il suo scoop da copertina: tre studenti hanno rivelato al settimanale di essere gli autori di almeno una testa, quella definita “Modì 2”.
Sempre dalle cronache:
scoppia il putiferio, ma Vera Durbè liquida il tutto come uno scherzo, mentre Enzo Pagliani, restauratore capo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, si schiera in prima linea: “Non nutro alcun dubbio sull’autenticità delle teste”. Di lì a pochi giorni Dario Durbè parlerà di un oscuro complotto.
Altri insinuano che il tutto sia stato architettato per scalfire il vero monolite granitico di questa storia, la Giunta comunale di Livorno. Argan resiste, ma dà l’idea di prepararsi una qualche ritirata, affermando che quelle pietre, certo “non sono capolavori”. Verso le tre del pomeriggio del 7 settembre a Modì 2 vengono messi i sigilli dall’ufficiale giudiziario in attesa di essere trasferita due giorni più tardi nel caveau della Banca d’Italia. La mostra livornese per il centenario di Modì finisce così con un acceso parapiglia . Ancora niente, rispetto a quello a cui tutta Italia sta per assistere: il 10 settembre Ferrucci, Luridiana e Ghelarducci vanno su Raiuno e in poco tempo scolpiscono in diretta una replica di Modì 2. Esibiscono anche le prove fotografiche di quella che da burla è diventata un vero e proprio affaire. A Livorno missini e socialisti infatti partono all’attacco del sindaco e della Giunta. Non potrebbe andare peggio, pare, e invece non è ancora finita: il 13 settembre esce allo scoperto l’autore ,Angelo Froglia, delle altre due teste, la 1 e la 3.
E' un giovane portuale con una storia tormentata, il volto da angelo caduto del rock e un talento artistico non banale. Froglia possiede anche un video della creazione delle teste, che nei suoi progetti doveva essere esso stesso un’opera artistica concettuale e provocatoria. Lo mostra il 15 settembre, in una saletta di una pizzeria dell’Ardenza stipata all’inverosimile di giornalisti. Il pateracchio è davvero completo, tutto il mondo parla del caso e qualcuno a Livorno commenta amaramente: “dalla gloria internazionale siamo alla derisione intercontinentale”. Dopo la beffa del 1984 il clima intorno alle opere di Modigliani non poteva certo migliorare.
Il tutto ebbe inizio l'estate del 1909. Mentre il Manifesto Futurista parte dall'Italia alla volta di Parigi, qualcun altro lascia la Ville Lumière per tornare verso sud e il sole del Tirreno.
Ha venticinque anni, si chiama Amedeo Modigliani , un uomo che ha "tutte le carte in regola per essere un artista", dato che, oltre al talento, ha anche "un carattere malinconico" .
Modigliani in tale periodo è suggestionato dall'arte primitiva africana, così torna a Livorno per scalpellare la pietra e per rimettersi. Perché Parigi è dura e fredda, gli atelier dei giovani artisti spesso sono stamberghe orride e sporche.
Quell'estate a Livorno, Modigliani scolpisce alcune teste in pietra e fin qui i fatti sono certi.
Secondo poi testimonianze contraddittorie, alcuni suoi amici gli consigliano però di buttarle nel fosso, tanto sono brutte. Secondo una delle leggende più nere dell'arte novecentesca, Modigliani le carica nottetempo su un carretto e le scaglia nel Fosso Reale, vicino al Mercato delle Vettovaglie.
È lì che nell'estate del 1984 si immergerà a cercarle una benna, in coincidenza con una mostra che celebra il centenario della nascita di Modì e la sua attività di scultore. Una coincidenza che si rivelerà a dir poco sciagurata. In molti, anzi troppi, in quell'estate si mettono a giocare con il fuoco. Quel fuoco si chiama Modì. Che non è solo l'abbreviazione di Modigliani. È anche la pronuncia di maudit. Maledetto. "Autenticare un Modigliani è come puntare a Las Vegas". A dirlo è un anonimo mercante d'arte italiano intervistato sul sito Forbes.com. Voci sostengono che almeno tre opere su quattro attribuite a Amedeo Modigliani siano in realtà dei falsi.
Sempre si legge: Il primo a fare i soldi con il successo postumo di Modigliani si chiama Leopold Zborowski, amico, mecenate e mercante d'arte del pittore. Secondo qualcuno, fa anche terminare ad altri pittori abbozzi e schizzi di Modigliani. Comunque sia, è una fortuna che dura poco: Zborowski perde tutto nella Grande Depressione e muore in miseria nel 1932. Per campare, la sua vedova non trova allora di meglio che attestare l'autenticità di molti disegni senza grandi scrupoli. Un'altra amica e modella di Modigliani, Lunia Czechowska, fa lo stesso. Nel dopoguerra ci si mette anche un certo Elmyr De Hory. Il nome non vi dirà niente ma, quando si ammazza imbottendosi di sonniferi a Ibiza, nel 1976, questo signore è una celebrità. Elmyr De Hory è uno dei più grandi falsari del Novecento, tanto che alla sua biografia Orson Welles ha dedicato F for Fake (F come falso). Per vent'anni, De Hory ha praticamente impestato il mercato.
Il corpus delle sue opere è numericamente ristretto. Picasso ha lasciato circa cinquantamila disegni, Modigliani poco più di novecento, che oggi possono valere dai cinquantamila ai centomila euro. Modigliani disegnava all’impronta, al bistrot per pagarsi da bere.
La beffa delle false teste del 1984 si inserisce quindi in un labirinto internazionale di sospetti, segreti, interessi e rivalità. Lo ha capito bene già nel 1976 un certo Zachary Stone che a Londra pubblica un thriller intitolato “The Modigliani Scandal”. Al centro c’è un’opera sconosciuta del pittore livornese, che scatena una lotta senza esclusione di colpi fra un giovane studioso, un collezionista e un gallerista. A parte la curiosa coincidenza del cognome (Stone significa pietra), anche quella firma è a suo modo un falso. Zachary Stone infatti non esiste, è lo pseudonimo di un giovane scrittore alle prime armi di nome Ken Follett
La mostra su Modigliani scultore, la prima che Livorno dedica al “suo” grande artista, apre nel centesimo compleanno dell’artista. A curarla ci sono i fratelli Durbé. Vera è direttrice del Museo Progressivo d’Arte Contemporanea di Villa Maria, con il fratello Dario, direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
LA PRIMA GRANA
La prima grana scoppia subito: Vera Durbé e la figlia di Modigliani sono protagoniste di una querelle su un “Ritratto di Picasso” esposto a Livorno che, scrive Jeanne Modigliani da Parigi, non appare “in nessuna edizione attendibile”. E in più lamenta di essere stata esclusa dal Comitato Scientifico della mostra, pur avendo dato la sua collaborazione ai curatori.
Poche le sculture, pochi i quadri e disegni, pochi i visitatori: la grande occasione di Livorno langue, la calda estate spinge le folle verso scogli, spiagge e bagni. Forse anche per questo Vera Durbé torna alla carica con la leggenda del 1909. È, a dire il vero, il suo pallino da qualche anno, ma intuisce che ora, o mai più, ci sono le condizioni per cercare le famose teste buttate da Modì. In tempi relativamente brevi si trovano quaranta milioni di lire, si appronta una benna speciale, si ottengono i permessi, si superano le perplessità dei vari “enti preposti” che devono dire la loro o apporre un timbro su un’operazione del genere.
L’ESCAVATRICE
Il 16 luglio l’escavatrice caricata su una grossa chiatta inizia a rimestare il fondo del Fosso Reale: e quello ancora più torbido della leggenda. Si ridesta immediatamente l’interesse dei media.
Ci sono più curiosi sulle spallette davanti al Mercato che visitatori alla mostra di Villa Maria. Passa una settimana di lavoro estenuante in cui viene su di tutto, dalle biciclette alle pistole, ma non le famose sculture. Il 24 luglio potrebbe essere uno degli ultimi giorni di lavoro, se la melma del Fosso Reale non restituisse, alle 9 di mattina, una pietra che reca segni di lavorazione. Una volta lavata e ripulita, ne emerge il profilo rudimentale di un volto che richiama una maschera primitiva. Anche senza internet e senza cellulari, la notizia dilaga per tutta la città in pochi minuti. I giornalisti, che ovviamente avevano un po’ mollato, tornano di corsa sul posto. Lo scetticismo viene subito messo sotto pressione. C’è chi vive il momento come una promozione collettiva dall’anonimato della provincia, c’è chi tira un sospiro di sollievo.
TRE AMICI
Piefrancesco Ferrucci, Pietro Luridiana e Michele Ghelarducci non partecipano a niente di tutto questo. Sono tre amici, studenti universitari figli della Livorno bene, che in un paio di serate si sono divertiti con un Black & Decker e un piccolo blocco di arenaria a preparare una di quelle teste che tutti cercano. L’hanno buttata di notte davanti alla benna e la mattina del 24 luglio pensano solo di “guardare di nascosto l’effetto che fa” prima che tutti si accorgano della bufala. Peccato la pietra scolpita ripescata non sia la loro. La burla si complica. Alle quattro del pomeriggio la benna recupera comunque anche la loro opera. Entrambe vengono magnificate da Vera Durbé: “La prima è più bella, nobilissimo il naso, la seconda sembra un dipinto...“
I media di tutta Italia si gettano sulla notizia. Per trovare un po’ di scetticismo bisogna allontanarsi da Livorno e dall’Italia. A Parigi, Jeanne Modigliani è infatti stata avvertita da lettere anonime che a Livorno stanno per essere ritrovate due false teste. Di chi, non si è mai appurato. Jeanne Modigliani tace su quelle lettere e rilascia dichiarazioni molto caute. Alla fine decide di partire per Livorno per capire meglio cosa sta succedendo. Il 27 viene trovata priva di sensi ai piedi delle scale del suo appartamento. Morirà dopo alcune ore in ospedale. Una caduta accidentale e un trauma cranico letale, concludono le autorità francesi.
Dalle cronache :
per dare un’idea del clima del momento, quel giorno stesso a Livorno il sindaco emette un’ordinanza apposita per evitare che le teste siano trasferite nella rivale Pisa. Che siano gli esperti della Soprintendenza, a muoversi, per analizzarle.
Si finanzia inoltre il proseguimento delle ricerche, che il 9 agosto pesca dal Fosso Reale una terza scultura. Intanto arriva il momento anche dei superlaureati. Per quanto riguarda lo stato delle due pietre, docenti universitari , interpretano analisi e dati con un tortuoso “nulla emerge che sia contrario all’ipotesi che giacciano sul fondo dal 1909”.
Altri, pur parlando di “tracce di scalpelli inusualmente larghi” e osservazioni varie, concludono che “il processo esecutivo appare quello tipico di Modì”.
E così altri scultori famosi dell'epoca , messi di fronte alle teste, riconoscono “in esse la mano di un artista che non padroneggia ancora l’appropriato uso degli strumenti”.
Hanno ragione da vendere, eppure non dubitano che la mano inesperta possa anche non essere quella di Modigliani.
Per Dario Durbé, anzi, è la mano di Modì a rivelare “una commovente e indagante incertezza” . Sta in queste parole la beffa più autentica, l’inganno più crudele, perché è l’inganno di chi, pur essendo capace di ricavare dati corretti, li stravolge e vi vede ciò che desidera vedere, che tutti desiderano vedere. Innescando così le estasi intellettuali di critici come Argan e altri. Le tre teste ritrovate vengono così esposte alla mostra di Villa Maria, che finalmente vede arrivare visitatori a frotte, da tutta Italia. Si appronta un catalogo apposito, che viene presentato domenica 2 settembre.
SCOOP
“Panorama”, in edicola il lunedì, anticipa il suo scoop da copertina: tre studenti hanno rivelato al settimanale di essere gli autori di almeno una testa, quella definita “Modì 2”.
Sempre dalle cronache:
scoppia il putiferio, ma Vera Durbè liquida il tutto come uno scherzo, mentre Enzo Pagliani, restauratore capo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, si schiera in prima linea: “Non nutro alcun dubbio sull’autenticità delle teste”. Di lì a pochi giorni Dario Durbè parlerà di un oscuro complotto.
Altri insinuano che il tutto sia stato architettato per scalfire il vero monolite granitico di questa storia, la Giunta comunale di Livorno. Argan resiste, ma dà l’idea di prepararsi una qualche ritirata, affermando che quelle pietre, certo “non sono capolavori”. Verso le tre del pomeriggio del 7 settembre a Modì 2 vengono messi i sigilli dall’ufficiale giudiziario in attesa di essere trasferita due giorni più tardi nel caveau della Banca d’Italia. La mostra livornese per il centenario di Modì finisce così con un acceso parapiglia . Ancora niente, rispetto a quello a cui tutta Italia sta per assistere: il 10 settembre Ferrucci, Luridiana e Ghelarducci vanno su Raiuno e in poco tempo scolpiscono in diretta una replica di Modì 2. Esibiscono anche le prove fotografiche di quella che da burla è diventata un vero e proprio affaire. A Livorno missini e socialisti infatti partono all’attacco del sindaco e della Giunta. Non potrebbe andare peggio, pare, e invece non è ancora finita: il 13 settembre esce allo scoperto l’autore ,Angelo Froglia, delle altre due teste, la 1 e la 3.
E' un giovane portuale con una storia tormentata, il volto da angelo caduto del rock e un talento artistico non banale. Froglia possiede anche un video della creazione delle teste, che nei suoi progetti doveva essere esso stesso un’opera artistica concettuale e provocatoria. Lo mostra il 15 settembre, in una saletta di una pizzeria dell’Ardenza stipata all’inverosimile di giornalisti. Il pateracchio è davvero completo, tutto il mondo parla del caso e qualcuno a Livorno commenta amaramente: “dalla gloria internazionale siamo alla derisione intercontinentale”. Dopo la beffa del 1984 il clima intorno alle opere di Modigliani non poteva certo migliorare.